La
lettera di santa Caterina da Siena scritta
al re d'Ungheria
Zoltán Angelico Stift
(La Roma di Santa Caterina da Siena, Quaderni della Libera Università "Maria SS. Assunta" n. 18., Edizione Studium, Roma 2001, a cura di Maria Grazia Bianco, p. 185-199)
Santa
Caterina visse gli ultimi mesi della sua vita a Roma, impegnata nella
difesa dell'unità della Chiesa tramite il suo Pontefice legittimo,
Urbano VI, contro la disgregazione dello scisma.
Tra
le lettere che Caterina scrisse da Roma a vari sovrani di Europa
perché
non si lasciassero sedurre dagli scismatici, la lettera 357 è
indirizzata a Ludovico il Grande, re d'Ungheria e di Polonia1.
La lettera appare databilie tra il
settembre e l'ottobre 1379, quando il "dolce frutto" della
vita di santa Caterina è ormai maturato. Questo frutto è il suo
amore verso la Chiesa, Corpo mistico di Cristo. L'impegno per l'unità
e la pace della Chiesa consumava tutto il tempo e l’energia della
Santa.
Santa
Caterina nell’ultima lettera scritta al suo padre spirituale dice:
"Con questo e con molti altri modi, i quali non posso narrare,
si consuma e distilla la vita mia in questa dolce Sposa, io per
questa via, e i gloriosi martiri col sangue"2.
Tutta
la sua vita, e soprattutto i suoi ultimi mesi romani sono
caratterizzati dall'orazione affinché Dio concedesse la redenzione
manifestata al suo popolo nella pace e nell'unità3.
Per questa
redenzione santa Caterina lavorava nella vigna della Chiesa con il
coltello della carità. Questo coltello ha due tagli: l'amore della
virtù e l'odio del vizio4.
Santa Caterina senza distinzione di persona tagliava i vizi e faceva
crescere le virtù nel prossimo. Ammoniva per i loro difetti le
autorità del mondo, i personaggi ecclesiastici, i sovrani, i ricchi
come pure sollecitava al bene i poveri religiosi, gli artigiani, le
madri di famiglia ecc. Secondo l`insegnamento cateriniano la vera
grandezza dell'uomo non consiste nel prestigio che proviene dalla
ricchezza e dal potere umano, ma consiste nel dono che offre la
capacità di "vedere in Dio", di riconoscere nella luce
soprannaturale la grandezza di Dio in tutte le cose visibili e
invisibili5.
Questo è il motivo per cui santa Caterina con amore e senza alcun
timor servile poteva ammonire pure il papa, i re e le regine (tra le
altre Elisabetta, la madre del destinatario della lettera 357)
richiamando la loro attenzione alla verità secondo la quale solo Dio
è colui che è e solo Lui ha un potere vero e reale: La creatura
invece ha il potere in quanto ce l`ha in Dio; un sovrano è signore
in quanto può signoreggiare sé medesimo nel servizio della propria
salvezza.
La
Santa ha scritto ad Urbano VI affinché lui avesse un cuore
soprannaturale, affinché potesse comandare le proprie passioni
altrimenti non avrebbe potuto governare neanche i suoi sudditi come
vicario di Cristo6.
Alla
regina di Napoli osava far notare che Dio punisce soprattutto i
peccati commessi contro il mistico corpo di Cristo, contro la
Chiesa7.
Caterina
Ammoniva il re di Francia aderente agli scismatici perché lui
rendesse conto a Dio dei suoi sudditi allontanatisi dalla Chiesa di
Cristo a causa della sua infedeltà 8.
Usando
il coltello a due tagli della carità, santa Caterina non lottava
soltanto contro i vizi con odio santo, ma prima - poiché questo
coltello aveva anche un altro taglio - piantava l'amore nei cuori.
Faticava molto a far riconciliare i nemici. Nello stesso tempo
sollecitava all'amore i ribelli e quelli contro cui si erano
ribellati. Così costruisce per loro (siano scismatici o abbandonati)
un ponte sul quale si può andare verso la riconciliazione e verso la
pace celeste.
Santa
Caterina incitava
continuamente Gregorio XI al perdono verso i figli ribelli affinché
il comportamento del papa rispecchiasse la misericordia del nostro
Padre celeste9.
Nella
lettera 229 diceva che Gregorio XI non venisse con soldati armati ma
con la croce nella mano come l'agnello.
Nella
lettera 285 animava il papa a vincere con bontà e umiltà l'odio dei
ribelli. Nello stesso tempo incoraggiava i ribelli all'obbedienza che
ha "inchiodato" sulla croce il dolce Cristo Gesù per
l'amore verso il Padre e verso gli uomini.
Sollecitava
i religiosi e i laici alla preghiera e ai sacrifici offerti per
l'unità10.
La
Santa incitava gli eremiti a lasciare la solitudine perché i servi
di Dio sono chiamati a Roma per il sangue dei Martiri11.
Il servizio più prezioso davanti a Dio è quello che facciamo alla
Chiesa12,
il bene comune della Chiesa è sopra di tutto13.
Ecco
il fondamento spirituale sul quale sono basate le ultime lettere di
santa Caterina, come pure la lettera 357 scritta al re d'Ungheria.
Come
tutte le altre lettere cateriniane anche questa è stata inviata per
annunciare l'amore. Caterina, schiava dei servi di Gesù Cristo,
scriveva al re d'Ungheria per il prezioso sangue di Gesù, con
desiderio di vederlo fondato in vera e perfettissima carità, la
quale carità non cercava le cose sue, ma cercava solo la gloria e
lode del nome di Dio nella salvezza delle anime, e non cercava il suo
prossimo per se, ma solo per Dio14.
Dopo
queste righe iniziali della lettera si legge un bellissimo elogio
della carità15.
Questo è una lode della carità, la quale è una vera madre per
l'anima ed assolutamente contraria all'amor proprio che è l'unico
vero nemico.
Santa
Caterina sollecita il destinatario della lettera ad
essere "difenditore della santa Chiesa" riconoscendo la
bugia di coloro che hanno eletto l'antipapa e difendendo la verità
di Urbano VI. L'insegnamento
della Santa di Siena
rivela le radici vere del comportamento sia degli scismatici sia dei
fedeli al papa. Hanno negato la fede santa "quelli che sono
privati della carità, e stanno nel amore proprio di loro medesimi",
ma quelli che sono "fondati in vera e perfettissima carità"
essendo illuminati riconoscono la verità e agiscono secondo essa16.
A
questo punto diamo uno sguardo a Ludovico stesso, alla sua opera e
alla precedente storia ungherese che aiuta a capire il ruolo del
Ungheria nell’Europa del Trecento.
La
storia riconosce il re Ludovico I come Ludovico il Grande. Il motivo
di ciò - secondo un approccio piuttosto superficiale - è che il
territorio del suo regno è stato molto grande: i confini di esso si
esetendevano dal mar Adriatico al mar Nero. Peró il motivo più
profondo si trova certamente nella qualità personale del re
Ludovico. Oltre le sue virtù naturali (come coraggio nella lotta,
saggezza politica, ecc.) erano fondamentali la sua fede e la sua
religiosità che soprattutto negli ultimi anni della sua vita
divennero più profonde. Questa fede cristiana – il cui
"difenditore
e campione"
era il re d'Ungheria sempre anche secondo santa Caterina17–
si è manifestata anche nella fedeltà al successore di Pietro.
Questa fedeltà del re terreno, Ludovico, al "dolce Cristo in
terra" non era che la fedeltà allo stesso Re celeste Cristo
Gesù. Questa fedeltà è nata dal desiderio che l’Ungheria, allora
un importante e grande Paese europeo, venisse incorporata nelle mura
terrene del Regno di Dio, cioè nella Chiesa affidata al vescovo di
Roma. Ludovico è stato guidato dalla convinzione che chi cerca i
valori del Regno di Dio riceve tutto il resto come dono per se stesso
e per la sua patria. Questa fedeltà, questo santo desiderio, rendeva
veramente grande Ludovico I e il suo regno18.
La
grandezza di Ludovico e la sua fedeltà alla Chiesa e al vero papa
non è nata dal nulla, non era senza predecessori nella storia
ungherese.
Ludovico
da parte di madre è discendente della casa degli Arpad19.
Questa dinastia reale dal 1000 fino al 1301, cioè nei primi tre
secoli del nuovo stato ungherese e cattolico ha dato più santi che
le altre famiglie regali cristiane di Europa. Elenco adesso i più
conosciuti tra i santi della dinastia regale per capire l'eredità
ricevuta e il retroterra spirituale del regno di Ludovico e per
conoscere i rapporti familiari con gli stati dell’Europa
cristiana20.
Il
primo re della casa degli Arpad, Stefano I, che la Chiesa occidentale
venera come santo dal 1083 e dal 20 agosto di quest’anno è
riconosciuto come tale anche dalla Chiesa orientale.
Tra
i familiari di Santo Stefano sono stati riconosciuti beati sua
moglie, Gisella, suo figlio, il principe Emerico, sua nipote,
Margherita, regina di Scozia21,
i figli di Margherita Kalman22
e Davide I23
re di Scozia.
Continua
l'elenco
dei re santi ungheresi con Salomone24,
e con San Ladislao la cui figlia era Irene25
imperatrice bizantina, celebrata dalla Chiesa orientale.
Probabilmente la santa più conosciuta della casa degli
Arpad è santa Elisabetta, figlia di Andrea II26
che era „principessa” dell'amore del prossimo. Anche una delle
sue figlie, Gertrude è diventata santa27.
La
nipote di Bela III28
era Beata Agnese di Praga29
la quale veniva chiamata da santa Chiara di Assisi –“La metà
della sua anima e (...) sua più amata figlia”.
Veneriamo
come sante quattro figlie del re Béla IV30.
Tra queste tre hanno fondato l'amicizia tra il popolo ungherese e
quello polacco: Kinga, Edvige (canonizzate da Giovanni Paolo II) e
Jolanta sono state mogli dei sovrani polacchi e ancora oggi sono
sante popolari in Polonia. La quarta figlia era santa Margherita31
che viveva come domenicana e faceva penitenza per la sua patria.
La
nipote di Jolanta era la regina santa Elisabetta di Portogallo.
La
Beata Elisabetta figlia di Stefano V32,
sorella di Maria che era la moglie di Carlo Angiò re di Napoli.
Elisabetta, dopo aver perso suo marito si recò a Napoli da Maria e
morì con fama di santità33.
La nipote dello stesso Stefano V era San Luigi da
Tolosa34.
Un’altra
Beata Elisabetta35,
figlia di Andrea III36
l'ultimo re della casa degli Arpad che apparteneva alle domenicane di
Töss in Svizzera offrì la sua vita per la sua patria.
Consapevolmente
abbiamo elencato tra i santi ungheresi dei primi secoli soltanto
quelli che entrando nelle dinastie sovrane di Europa con la santità
di vita potevano formare la fede e la vita cristiana del loro nuovo
popolo (avuto da Dio per un matrimonio cristiano).
Menziono
ancora la badessa del convento domenicano di Veszprem, la Beata
Elena. Benché ella non sia stata membro della casa reale, aveva però
come seguace fedele santa Margherita d'Ungheria37
e si lega con una vicenda dell’autrice della lettera 357. Quando
infatti durante il processo della beatificazione di Caterina da Siena
si pose la domanda se potesse essere stigmattizzata una donna?
Secondo documenti storici i domenicani per dimostrare l'autenticità
delle stigmate di Caterina
si riferivano a quelle della Beata Elena.
Prima
che possa emergere il dubbio: vogliamo dipingere un quadro troppo
ideale dei primi tre secoli della storia ungherese? Notiamo che anche
in questo periodo, e pure in Ungheria, sono stati presenti miseria,
crudeltà, egoismo, sfruttamento dei deboli che sono sempre la
conseguenza del peccato. Ciononostante sembra che questa epoca abbia
dato quei santi re, regine, figlie e figli del re che sono stati
pronti per il loro popolo, per la salvezza di esso e per amore di
Cristo - utilizzando le parole di Margherita d'Ungheria - "a
stracciare e fare in pezzi il loro corpo". Quando abbondava la
malvagità questi santi volevano e lasciavano che per la loro
preghiera e i loro sacrifici sovrabbondasse la grazia38.
La
fedeltà alla santa sede di Ludovico il Grande appartiene all'eredità
di santo Stefano, poiché le fondamenta della fedeltà degli
ungheresi a Roma sono stati poste da lui. Egli all'inizio e alla fine
del suo regno aveva fatto due atti che - come alfa
ed omega
della sua opera di vita - legavano il suo popolo al papa.
L’alfa
del regno di Santo Stefano e che all'inizio del suo regno ha chiesto
di essere incoronato dal papa Silvestro II39.
Stefano il 25 dicembre 1000 insieme con la corona aveva ricevuto dal
papa il diritto apostolico dell'organizzazione della Chiesa locale e
il segno di questo potere, la croce apostolico. Silvestro II gli ha
concesso i diritti di un legato apostolico. Ciò significava che –
a differenza degli altri paesi europei – Santo Stefano ha definito
la struttura gerarchica della Chiesa ungherese.
L'arcivescovado
di Passau o di Salisburgo avrebbe accolto molto volentieri la Chiesa
del nuovo stato cristiano nella sua struttura gerarchica ecclesiale
come suffraganeo – secondo la consuetudine di allora. Papa
Silvestro però esaudì la richiesta di santo Stefano secondo la
quale la nazione e la Chiesa ungherese appena nate potessero rimanere
autonome. Così la prima diocesi ungherese non è stata sottomessa a
un arcivescovado già esistente, ma è stata costruita come un
autonomo arcivescovado e tutte le altre diocesi ungheresi sarebbero
state sottomesse ad esso.
Per
questo durante la storia ungherese spettava sempre al re il titolo
"apostolico". Questo era molto significativo dal punto di
vista spirituale come dal punto di vista politico, e per molto tempo
caratterizzava il rapporto tra l'Ungheria e la santa sede: il nuovo
stato ungherese ha ottenuto un’indipendenza i cui garanzia e
fondamento è stata appunto la sua cristianità. Nel caso di Santo
Stefano il titolo di "re apostolico" significava che egli
poteva unire un popolo e formarlo come nazione indipendente e forte
nella forza della fede cristiana. Per gli ungheresi diventare un
popolo ed essere incorporato nel corpo mistico di Cristo era la
stessa cosa. Da allora in poi il rapporto tra il re di una nazione
forte e autonoma e il successore di Pietro era caratterizzato da una
vera unità come è unita una famiglia dove la dignità del figlio è
basata sull'obbedienza verso il padre. Essere ungherese significò
per cinque secoli, cioè fino ai tempi della riformazione, essere
romano cattolico cristiano, figlio ungherese del papa.
Purtroppo
col passare il tempo questa consapevolezza ungherese non soltanto
scoloriva40,
ma in modo grottesco si capovolgeva in modo che oggi una parte degli
ungheresi è convinto che „veramente” ungherese è colui che,
staccato dalla chiesa cattolica ed apostolica, appartiene alla chiesa
riformata.
La coscienza nella sua purezza originale vive ancora
piuttosto nei cosiddetti ungheresi „csángó” che vivono in
Romania e pare che la secolare lotta per l’esistenza tenga sveglia
l’unità della consapevolezza religiosa e nazionale41.
Purtroppo per i quasi indisolubili problemi etnici del XX secolo
questi ungheresi di Moldavia non sono considerati nemmeno dalla santa
Sede ungheresi ma rumeni.
Tutto
quello che abbiamo detto sulla costruzione del nuovo ed autonomo
stato cristino nel bacino dei Carpazi si realizzava grazie al
disciernimento di Stefano senza minaciare il rapporto con gli stati
occidentali, anzi, per il matrimonio di Stefano con Gisella di
Baviera e per i loro discendenti il rapporto diventò più solido.
Era dura invece per Stefano la lotta con i signori ungheresi,
talvolta con i membri della propria famiglia che al posto della
Chiesa romana volevano rafforzare i rapporti con Bizanzio e legarsi
alla cristianità orientale42.
L'omega
dell’opera di Santo Stefano è quell’atto con il quale ha portato
al compimento tutta la sua opera di vita e che caratterizzava tutta
la sorte futura d'Ungheria: alla fine della sua vita - poiché i suoi
figli erano morti e non gli rimase erede per linea diretta – il re
apostolico ha lasciato la sua corona, simbolo del Paese alla Madre di
Cristo. Sapeva nella fede che consacrando il suo popolo a Maria lo
avrebbe legato con i legami più stretti e forti con il papa che è
sempre, in tutto di Maria. Da allora l'Ungheria cattolica chiama e
venera Maria pure nel senso "giuridico" „nostra
Signora”43,
e „nostra Regina”. Questa devozione44
poi si manifestava nella fedeltà al papa, figlio di Maria in terra.
Il
re Ludovico I ebbe la sua formazione in questa fede e accettando con
responsabilità l'eredità di Santo Stefano ascendó al trono il 21
luglio 1342. Grazie a suo padre, Carlo Roberto45,
era imparentato con la casa degli Angiò di Napoli, da parte della
madre Elisabetta Piast, con la dinastia reale polacca. L’eredità
della casa degli Arpad si univa con l’eredità di due famiglie che
pure avevano una solida tradizione cristiana come eredità.
Ludovico
diventò re a 16 anni. Gli dava un grande sostegno sua madre,
Elisabetta, la cui religiosità e fedeltà al papa facilitava molto
l’orientamento nei difficili momenti della politica ecclesiastica
del Trecento, soprattutto nel periodo dello scisma.
Santa
Caterina scrive nell’agosto del 1375 la lettera 145 alla madre di
Ludovico dove dice che il fondamento del regno giusto è la
conoscienza di Dio e di sè concepita nell’amore. Incita tutte e
due (la madre e il figlio) a perseverare accanto al papa ed a
sostenere le crocate. Elisabetta negli ultimi anni della sua vita46
aiutò la Chiesa con numerosi e preziosi doni e nel tempo dello
scisma rimase accanto ad Urbano VI. Per dimostrare la sua
appartenenza al papa, nel 1379 gli regalò una tiara del valore di
20.000 fiorini d’oro e vestiti ecclesiastici. La tiara la donò al
papa Urbano VI, poiché l’arcivescovo di Arles portò con sè
quella originale all’anitpapa Clemente VII. Elisabetta mandò la
tiara al papa nel nome di un Paese cristiano il cui primo re aveva
ricevuto la corona dal successore di Pietro. La Provvidenza ha fatto
così che appunto la madre di Ludovico potesse ricambiare il dono
della corona, dimostrando la fedeltá di questo Paese all'ereditá
spirituale del suo primo re.
La
seria educazione religiosa si manifestò nello stile e nei metodi di
sovrano di Ludovico. Il suo esempio era San Ladislao47
alla cui tomba andava come pellegrino subito dopo il suo accesso al
trono. Nello stesso tempo venerava i suoi santi protettori celesti;
San Ludovico da Tolosa morto a 24 anni che era lo zio di suo padre e
San Ludovico IX re di Francia, eroe delle crociate, il quale
riottenne le reliquie della santa croce, l’esempio del re cristiano
e giusto il cui discendente era Ludovico per linea retta da parte di
padre.
Il
rapporto di Ludovico si è
articolato in
un modo speciale con Giovanna di Napoli alla quale santa Caterina ha
scritto sette lettere per incoraggiarla a sostenere la crociata48
e per avvertirla dell'obbligo alla fedeltà a Dio e al papa49.
Giovanna e Ludovico erano promessi sposi l'uno all'altra. Di nuovo
cause politiche fecero in modo che il marito di Giovanna fosse
Andrea, fratello di Ludovico. Dopo che Andrea fu ammazzato, Ludovico
- pensando che anche Giovanna avesse preso parte nell’uccisione di
suo fratello - guidò le sue truppe contro il regno napoletano,
contro la sua ex-sposa50.
All'inizio ebbe successo: Giovanna scappò da Napoli. Però più
tardi Ludovico fu costretto a ritirarsi in parte a causa dei propri
errori, in parte perché gli stati dell'Italia, la Francia e l'Impero
romano-germanico erano contro la formazione di un regno unito sotto
Ludovico di cui avrebbero fatto parte l'Ungheria e Napoli. Aveva un
ruolo speciale in queste fallite offensive anche il fatto che i papi51
che erano in cattivitá Avignonese sotto un certo influsso politico -
tardavano a fare giustizia in questo caso così delicato. Mentre il
rapporto con il papa romano si indebolì per un po' di tempo Ludovico
stesso cercava di portare a termine "l'opera della vendetta".
Alla fine però non soltanto rinunciò al suo presunto diritto al
trono di Napoli e lasciò liberi i sui nipoti (figli di Carlo di
Durazzo) precedentemente portati a Buda, ma condonò anche
l’indennità di guerra52
esprimendo l'intenzione di ristabilire il rapporto con la corte
papale. Innocenzo VI53,
durante il suo papato, davanti a nuovi problemi contava molto
sull'aiuto dell'Ungheria. Ludovico sosteneva i progetti del papa
moralmente e anche materialmente. Per proteggere i territori dello
Stato ecclesiastico nell'aprile del 1360 mandò in Italia truppe
ungheresi. Il papa per ricompensare la partecipazione in questa lotta
e i combattimenti contro i bogumili gli donò lo stendardo e il
titolo di "scudo di Cristo e atleta di Dio".
Il
5 novembre 1370, a causa dell'estinzione della dinastia reale polacca
di Piast, Ludovico I diventò anche re di Polonia grazie ad un patto
di successione.
Ludovico
voleva rafforzare la Chiesa nei suoi Paesi e promovere la cultura
anche attraverso la sua politica interna. La prima università
d'Ungheria fondata da lui a Pécs fu riconosciuta da Urbano V54
il 1 settembre 1367.
Tra
gli ordini religiosi amava ed aiutava in un modo speciale un ordine
fondato in Ungheria, i Paolini55.
A Márianosztra costruì una Chiesa per loro e, secondo una clausola
segreta del patto di pace con Venezia56,
il 14 ottobre 1381 ottenne per i religiosi la reliquia di San Paolo.
Poco prima della sua morte57,
secondo i suoi intenzioni suo nipote58
fondò il convento paolino a Czestohova.
Ludovico
sosteneva generosamente i luogi santi. Per esempio colmò la chiesa
di Achen di preziosi doni e completò la costruzione del santuario di
Mariazell con due torri e con una cappella ungherese.
Per
finire ritorniamo alle lettere che santa Caterina scrisse al re.
Probabilmente Ludovico lesse anche la lettera 145 indirizzata alla
madre. Questa lettera si riferì non soltanto ad Elisabetta, ma anche
a suo figlio: „E pregate il caro vostro figliuolo strettamente, che
per amore si proferi e serva la santa Chiesa. E se il nostro Cristo
in terra l’addimanda e volesse ponergli questa fadiga; pregatelo
che accetti fedelmente la sua petizione e addimanda, confortando il
Padre santo; e cresciergli il santo proponimento di fare il santo e
dolce Passaggio”
La
lettera 357 la lesse Ludovico ormai piuttosto anziano tre anni prima
della sua morte. I suoi biografi hanno notato che in questo ultimo
periodo della sua vita la religiosità del re divenne più autentica
come anche la sua fede fu più profonda. Conosceva già la voce del
Buon Pastore che questa volta mediante le parole di santa Caterina lo
invitò ad essere “fondato in vera e perfettissima carità”.
Non
aveva più forza e possibilità di seguire concretamente la
sollecitazione della lettera, di „Posporre ogni altra cosa”59
e partire per l'Italia o di partecipare alla crociata. Tuttavia Dio
con questa lettera concedeva al suo fedele „campione” la grazia
per quel compito così immane per ogni creatura: la preparazione al
resoconto finale. I suoi 37 anni di sovrano cristiano aspettavano
all’ultimo resoconto. I successi e gli insuccessi, i dubbi, le
esperienze di questa laboriosa vita, l’umiltà, l’oggettività
politica aspettavano di essere messi in bilancio davanti a Dio. La
lettera 357 preparò Ludovico a rendere conto delle anime a lui
affidate. Questa preparazione non significò altro che lavare le
azioni e i desideri di una vita nella penitenza e nel sangue di
Cristo, poiché Ludovico il „Grande” non sempre cercava solo la
salvezza del prossimo e la gloria di Dio, e non era sempre l’amore
delle virtù il motivo per cui agiva. Non di rado aveva altri nemici
oltre al mondo, al demonio e alla sua sensualità.
Ma
probabilmente questa lettera svolse lo stesso ruolo nella vita della
ottantenne Elisabetta. Se ha letto la lettera indirizzata a suo
figlio in cui Caterina dipinge la madre-carità, ha potuto paragonare
la propria caritá verso il figlio con quella “vera e perfettissima
carità, la quale carità non cerca le cose sue” – si trattasse
del regnare, del servire, della patria, della politica, dei parenti
ecc. - “ma cerca solo la gloria e lode del nome di Dio nella
salvezza delle anime, e non cerca il suo prossimo per sè, ma solo
per Dio”. La lettera 357 fu un dono con il quale Dio ricompensò
pure l’anziana regina – che stava accanto a suo figlio quasi come
se regnassero in due con le conseguenze buone e meno buone di questa
vicinanza –, affinché ella potesse procedere nella conoscenza
di Dio procedendo nella vera conoscenza di sè e nella penitenza.
Quindi
lo scopo delle lettere scritte alla madre e a suo figlio era di
guidare loro alla perfetta carità che non agisce secondo il punto di
vista umano ma solo secondo quello di Dio. Nel giudizio e nelle
correzioni degli errori di Giovanna di Napoli Elisabetta e Ludovico
non dovevano essere guidati dalla superbia familiare, ma dal
comandamento di Cristo riguardante l’amore del nemico, poiché
Giovanna non ostacolando l’uccisione di Andrea, e aderendo
all’antipapa, peccò solo contro Dio. Tutti – anche i destinatari
delle lettere – sono debitori a Dio dell’amore. Questo debito si
deve estinguere verso il prossimo, nel caso di Giovanna simpatizzante
del demonio, tramite la penitenza e la preghiera offerte per la sua
conversione e per la sua salvezza. Ludovico quindi non doveva guidare
un esercito cristiano per risolvere problemi familiari, ma per
lottare in favore dell’integrità della Chiesa di Cristo.
Santa
Caterina mette in evidenza tutto questo – in un modo tipicamente
suo – tramite il contrasto tra amore e odio: l’amore verso il
prossimo e l’odio del vizio.
Per
concludere, diamo uno sguardo all'Ungheria nelle epoche successive.
La fedeltà
di Ludovico I
continuava a vivere pure nei temi della lotta contro i turchi.
L’Ungheria morì quasi dissanguata in questo combattimento eroico
durato 150 anni. Tuttavia soprattutto questa lotta servì a fare in
modo che i turchi non potessero realizzare il progetto di costruire
una stalla per i loro cavalli al posto della sede di San Pietro. Il
suono delle campane a mezzogiorno fanno ricordare la vittoria di
Nándorfehérvár del 145660,
risultato dell’ultima fruttuosa alleanza basata sull’unione
nazionale e religiosa.
L'Ungheria
nel 2000 festeggia il Millenario della conversione del popolo alla
fede cristiana. Questo anno santo lo è doppiamente per gli ungheresi
che celebrano il Grande Giubileo del 2000 e, nel contempo, il
Millennio del cristianesimo ungherese.
Raccomandiamo
alla protezione del dolce Gesù, della vera Madre-carità, Maria, di
santa Caterina e dei re santi ungheresi la nostra storia, il nostro
presente e futuro. Riportino e custodiscano questo Paese nel santo e
dolce amore di Dio. Gesù dolce! Gesù Amore!
1
Nato il 5 marzo 1326; re di Ungheria dal 1342, re di Polonia dal
1370; morto a Nagyszombat il 10 settembre 1382
2
Lett.
373, p.1193
3
cf. Lett.
373, p.1193; Lc
1,68; Sal
73,12
4
Come non c’è, in terra, luce senza contrasto di ombra, così
appartiene all’amore l’odio. L’odio santo combatte contro
l’amor proprio che acceca l’anima, e così diventa la causa di
innumerevoli mali cf.
G. Cavallini,
Caterina
madre e maestra delle anime. Le virtù,
"L’albero della carità"
14,
1963, n.3, p.19.
5
cf. Lett.
39, p.1558.
6
cf. Lett.
364, p.162.
7
cf. Lett.
312, p.352.
8
cf. Lett.
350, p.313.
9
cf. Lett.
196, 255, 270
10
cf. Lett.
227, 277, 280, 308
11
cf. Lett.
329
12
cf. Lett. 253,
259, 322, 323, 324, 326, 327, 328, 367
13
cf. Lett. 323
14
cf. Lett. 357,
p. 281
15
Questo elogio contiene espliciti riferimenti al celebre inno
indirizzato da San Paolo alla carità cristiana (Cor
13,1-13) ma
nello stesso tempo riassume l'insegnamento tipicamente cateriniano
sull'amore.
16
cf. Lett. 357,
p. 285
17
cf. Lett. 357,
p. 285
18
La fedeltà di Ludovico è stata lodata in modo eccezionale anche
dal papa Urbano V in una lettera scritta il 1 giugno 1364 :“O
Principe fedele, Figlio più caro della Chiesa di Dio che (…) hai
compassione del Madre minacciata, Tu che vuoi lottare nel servizio
del Re celeste e desideri proteggere la sua Sposa contro le offese
dei nemici. Tu sei veramente Figlio della gratitudine e riconosci
con umiltà che hai ricevuto il tuo potere da Dio e cerchi di usarlo
contro i malvagi figli della Chiesa, contro gli scismatici, contro
gli eretici, contro gli infedeli, contro i pagani. Tu sei veramente
un re cristianissimo (…) e lavori continuamente per aquisire al
regno terreno quello celeste.” cf. V. Fraknói, Magyarország
és a Római Szentszék (Ungheria e la santa Sede romana),
Budapest 1940.
19
Suo Padre è Carlo Roberto che è pronipote di Stefano V (+ 1272).
20
cf. I. Diós, A
Szentek Élete
(La vita dei
Santi),
Budapest 1992.
21
+ Edinburgh, 16.
11. 1093.
22
+ Ctockerau (vicina a Vienna) 1012
23
+ Carlisle, 24. 05. 1153.
24
+ Pula, 1077
25
+ Bithynia, 1134
26
reg. 1205–1235
27
+ Altenberg, 1300
28
reg. 1172–1196
29
+ 02. 03. 1282
30
reg. 1235–1270
31
+ 1270
32
reg. 1270–1272
33
+ 1320
34
+ Brignoles, 1297
35
+ Töss 1336/1338
36
reg. 1290–1301
37
È un fatto storico il suo influsso sulla vita di Margherita nel
convento di Veszprem. Rimane però una domanda aperta se questo
influsso fosse indiretto o personale (se fosse o meno la educatrice
di Margherita).
38
cf. Rom 5,20
39
reg. 999–1003
40
Talvolta con un voluto offuscamento del puro significato dei
concetti come la riduzione del termine „regno apostolico” a un
concetto puramente giuridico nel senso dello "ius patronato".
41
cf. AA.VV.: Magyar Katolikus Lexikon,
(Lexicon Cattolico Ungherese), Budapest
1993.
42
Tutte le prove della fedeltà alla chiesa di Roma dopo la morte del
marito sono rimaste alla Beata Gisella: alla fine della sua vita ha
dovuto sopportare anche la privazione dai suoi beni (con il pretesto
della sua presunta incapacità di intendere e volere).
43
E’ un nome particolare, in ungherese: „Nagyasszony”, che è
una espressione antichissima (precede il cristianesimo ungherese) e
si riferisce alla donna che con grande potere governa e provvede la
gente della sua casa.
44
Anche la città di santa Caterina si affidava tradizionalmente alla
protezione di Maria.
45
reg. 1308–1342
46
+1380
47
reg 1077–1095
48
cf. Lett.
133
49
cf. Lett.
138, 143, 312
50
1347, 1353
51
Benedetto XII (reg. 1334–1342) ; Clemente VI (reg. 1342–1352)
52
Quest'ultima spettava a lui appunto per l’accordo stipulato
tramite la santa Sede.
53
reg. 1352–1362
54
reg. 1362–1370
55
Il fondatore è Beato Özséb (nato a Esztergom 1200; morto a
Pilisszentkereszt il 20 gennaio 1270) che ha scelto come protettore
celeste San Paolo eremita.
56
Il 24. agosto 1381
57
In lugilio 1382 sono arrivati 16 palos di Marianostra dall'Ungheria.
58
Principe László Opolei
59
cf. Lett.
357, p. 258
60
Nándorfehérvár,
attualmete Belgrado (Yugoslavia). La battaglia fu combattuto fra il
3 e il 22 luglio 1456.